SSN, uno sforzo comune per rinnovare lo spirito di servizio

Umberto Nocco

I temi che si susseguono in questo periodo nella discussione relativa al SSN sono più o meno gli stessi che sentiamo da un po’ di tempo e sono in qualche modo tutti rappresentati in questo numero della rivista.

Quanto riportato nel Rapporto Oasi redatto dall’Università Bocconi ci mostra la foto di un sistema che deve far fronte a una popolazione che invecchia, a una pretesa di salute e soprattutto di risposta estremamente alta (confondendo l’universalità con la totalità delle prestazioni richieste) ma che poi spesso si scontra con la necessità di metterci del proprio per trovare la risposta quando serve perché il sistema pubblico non ce la fa; il tutto condito da una crescente distanza tra fabbisogno e risorse.

Questa distanza, al di là delle percentuali di PIL che pure sono significative, è visibile anche nel fatto che il rinnovamento tecnologico è sostanzialmente lento anche per effetto della moltiplicazione dei punti di offerta senza una reale attenzione all’utilizzo e alla condivisione delle risorse messe a disposizione/necessarie per l’erogazione delle prestazioni.

Per contro, i risultati pubblicati da Agenas e relativi al PNE mostrano un sistema che lotta per migliorare la risposta al bisogno – e non è certo un problema di essere primi in classifica – ma evidenziano anche un comportamento asintotico (la dico da ingegnere) ovvero che cresce molto poco anche a fronte dell’immissione di risorse nel sistema.

Questo aspetto ha molte letture, una delle quali potrebbe essere che il sistema è ormai a saturazione e – ho trovato riscontro anche nel Rapporto Oasi – sono già state introdotte tutte le azioni possibili a livello micro per migliorare, efficientare il processo.

Né la creazione di altri punti di offerta sembra essere efficace: non abbiamo ancora trovato le soluzioni organizzative per far funzionare bene il sistema territoriale che stiamo costruendo (d’altra parte, non sarebbe corretto attendersi un risultato a breve termine), abbiamo comunque la necessità di un cambio culturale in tutti noi (come pazienti) perché abbiamo ancora una scorretta percezione qualitativa dell’offerta territoriale. Il rischio è che queste strutture (oggi in qualche modo finanziate dal PNRR) diventino un fardello economico che stresserà ulteriormente il sistema.

E non dimentichiamo che tutto il comparto è sotto stress (espressione elegante e fumosa per descrivere fenomeni quali, per esempio, il payback) e le soluzioni messe in atto anche sul fronte valutazione della tecnologia e procurement (riduzione delle basi d’asta, payback o dovremmo chiamarlo “contributo di solidarietà”?) sembrano al momento essere disruptive in negativo e non portare un vantaggio reale al sistema nel suo complesso.

La situazione è complessa e articolata e richiede soluzioni che spesso sono da disegnare e applicare a un livello più alto di quello in cui opera ciascuno di noi.

Quello che può fare chi, come me, fa parte del middle management è recuperare/rinnovare lo spirito di servizio (mica per niente si chiama “servizio” sanitario nazionale) e mettere da parte quell’approccio per funzione che ci irrigidisce su una posizione codificata, storicizzata ma probabilmente non utile al momento storico che stiamo vivendo.

Solo così potremo essere parte di un processo disruptive che può modificare il sistema in modo sostanziale senza perdere (troppi) pezzi per strada. Partiamo da ciò che ciascuno di noi gestisce – nel mio caso le tecnologie con tutto il patrimonio di informazioni che si portano in pancia – e proviamo a costruire qualcosa di veramente nuovo, con passione, fantasia e spirito di servizio.

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