Si stima che in Europa colpisca circa 15 milioni di persone, un milione circa delle quali in Italia. Lo scompenso cardiaco è una patologia fortemente connessa all’invecchiamento e nel 50% dei casi si associa a morte entro 5 anni dalla diagnosi. La prevalenza aumenta del 2% per ogni decade di età, attestandosi intorno al 10% dopo i 70 anni (a partire dai 65 anni di età questa è la prima causa di ospedalizzazione).
Questa patologia è difficile da trattare, anche perché spesso si associa a diabete e/o nefropatie, con le quali instaura un quadro clinico complesso e delicato.
Il paziente scompensato va dunque rivalutato di frequente per adattare la terapia alle esigenze del momento, oltre a richiedere un monitoraggio continuativo.
Questi pazienti «vanno gestiti in modo multidisciplinare e qui ci sono due criticità: il problema di un’adeguata comunicazione tra i professionisti coinvolti e la necessità di integrazione tra le varie discipline», sottolinea Claudio Bilato, presidente dell’Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri di Regione Veneto, che ha rimarcato anche l’importanza della presenza di una rete clinica dedicata a questa patologia.
Una rete tra i diversi ospedali presenti nel territorio e una tra ospedale e territorio: la prima consente una gestione più corretta del paziente, la seconda assicura che, una volta a casa, il paziente riceva le dovute cure e segua la terapia. Resta l’imperativo di individuare una terapia che possa migliorare le condizioni del cuore, focus sul quale si è concentrata molta parte della ricerca.
La soluzione sembra essere stata individuata in una classe di farmaci per il diabete, gli inibitori selettivi del co-trasportatore renale di sodio e glucosio (SGLT2i): questi hanno dimostrato in vari studi randomizzati controllati di migliorare la gestione della glicemia e, contemporaneamente, di favorire la riduzione della pressione arteriosa.
Usati su pazienti con scompenso ma senza diabete, questa terapia si è dimostrata capace di diminuire i ricoveri per scompenso del 35%, il declino della funzionalità renale del 39% e la mortalità per tutte le cause del 32%.
La questiona ora è rendere questo farmaco accessibile ai pazienti che ne hanno bisogno: un problema non di poco conto, almeno per il dott. Luciano Babuin, del Dipartimento di Scienze Cardiologiche, Toraciche e Vascolari dell’Azienda Ospedaliera Universitaria di Padova, secondo il quale «c’è un percorso a ostacoli sul territorio, non ultimi i piani terapeutici, dove la prescrivibilità spesso è riservata solo ad alcune specialità.
Il problema non è più l’evidenza scientifica, ma la presa in carico e l’accessibilità alle cure del paziente con proprietà transitiva: perché il paziente possa avere quel farmaco, ci deve essere uno specialista che ha la possibilità di prescriverglielo».
Insomma, avere i farmaci ma non le persone che li possano prescrivere non aiuta a risolvere il problema. Di qui l’esigenza già evidenziata di rafforzare i rapporti con il territorio da parte dei team ospedalieri. Esiste poi un altro ordine di problema, legato al costo del farmaco: un problema che andrebbe risolto tornando a pensare in termini di salute acquisita, rispetto che di risorse spese.
Conferma Luciano Flor, direttore Area Sanità e Sociale di Regione del Veneto: «prima di pensare in termini di ricadute economiche, credo che medici e professionisti sanitari debbano pensare in termini di salute, altrimenti non andiamo da nessuna parte.
Si deve sfatare la paura che l’innovazione stravolga i bilanci regionali e per farlo è necessario per tutti i professionisti sanitari di stare dentro questi problemi, che vuol dire condividere e fare rete per dare fiducia ai nostri cittadini».
La questione economica non può essere infatti valutata da subito. Intendo dire che lo scompenso cardiaco, di per sé, è una patologia ad alto impatto economico, sia in termini sanitari che sociali: un farmaco, anche costoso, che riduca le attuali spese potrebbe, alla lunga, dimostrarsi efficace anche da un punto di vista economico.
Se non lo si sperimenta sul campo, però, diventa difficile scoprirlo. Di tutto questo si è discusso durante un convegno organizzato da Motore Sanità: “L’innovazione che cambia e salva la vita dei malati cronici. Scompenso cardiaco: focus on SGLT2i – Veneto”.