In occasione del terzo congresso nazionale Fnopi di Rimini, è stata presentata l’analisi di Fondazione Gimbe sul personale infermieristico in Italia.
Emerge un quadro che compromette il funzionamento della sanità pubblica. La grave carenza di personale infermieristico non è solo una questione di numeri, ma il riflesso di dinamiche professionali che aggravano lo squilibrio tra bisogni assistenziali e disponibilità di personale.
Le aree su cui l’analisi si concentra sono: numeri del personale infermieristico, dimissioni e cancellazioni dall’albo, gobba pensionistica, salari, laureati, invecchiamento della popolazione e Pnrr.
Questa un’idea dei numeri. Nel 2022, secondo i dati del Ministero della Salute, il personale infermieristico contava 302.841 unità, di cui 268.013 dipendenti del SSN e 34.828 impiegati presso strutture equiparate. In Italia ci sono 5,13 infermieri ogni 1.000 abitanti, con forti disomogeneità territoriali: dai 3,83 della Campania ai 7,01 della Liguria.
«In generale», commenta Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, «il numero di infermieri risulta più basso in quasi tutte le Regioni del Mezzogiorno, sottoposte ai Piani di rientro, oltre che in Lombardia».
Confrontando i dati italiani con quelli internazionali emerge una forte disparità. Considerando gli infermieri in attività, a prescindere dal contratto di lavoro e dalla struttura in cui operano, nel 2022 l’Italia contava 6,5 infermieri per 1.000 abitanti, dato ben al di sotto della media Ocse di 9,8 e della media EU di 9.
Per quanto riguarda il numero di dimissioni, il dato è in costante aumento dal 2016, con un’accelerazione significativa nel biennio pandemico 2020-2021 e una vera e propria impennata nel 2022. Solo nel triennio 2020-2022 hanno abbandonato il SSN 16.192 infermieri, di cui 6.651 nel solo 2022.
È molto elevato anche il dato di professionisti che hanno lasciato l’albo Fnopi, 42.713 infermieri si sono cancellati negli ultimi quattro anni, di cui 10.230 solo nel 2024. Le motivazioni sono varie, ad esempio pensionamenti, trasferimenti all’estero, decessi, morosità e abbandoni volontari della professione.
Inoltre, la gobba pensionistica contribuisce ad accrescere le difficoltà del sistema già in crisi. «Anche prescindendo dagli altri fattori critici», commenta Cartabellotta, «la sola variabile anagrafica basta a delineare uno scenario allarmante: senza un ricambio generazionale adeguato, la carena di infermieri è destinata ad acuirsi nei prossimi anni, quando si raggiungerà il picco della gobba pensionistica».
Nel 2022, quasi 78 mila infermieri dipendenti del SSN avevano più di 55 anni (27,3%), mentre un ulteriore 22% si collocava nella fascia di età 50-54 anni.
L’aspetto più preoccupante è, probabilmente, quello che riguarda i neolaureati. nel 2022 in Italia si sono laureati solo 16,4 infermieri ogni 100.000 abitanti, a fronte di una media Ocse di 44,9.
Dato significativo è il crollo del rapporto domanda/offerta del Corso di Laurea in Scienze Infermieristiche, prima della pandemia era pari a 1,6, dall’anno accademico 2020-2021 si è ridotto progressivamente sino a crollare a 1,04 nel 2024-2025 quando i candidati sono stati appena sufficienti a coprire i posti disponibili.
«Le nostre analisi» spiega Cartabellotta «mostrano con chiarezza i numerosi fattori che rendono la professione infermieristica sempre meno attrattiva: salari bassi, limitate prospettive di carriera, subordinazione professionale, incongruenza tra percorso formativo e attività lavorativa, che compromettono l’equilibrio tra vita lavorativa e privata e alimentano fenomeni di burnout per turni di lavoro massacranti.
A tutto questo si aggiunge, ultimo ma non meno importante, il rischio di aggressioni verbali e fisiche, che mina ulteriormente dignità e sicurezza della professione infermieristica».
È fondamentale invertire questa tendenza dal momento che il progressivo invecchiamento della popolazione italiana rappresenta un’imponente sfida assistenziale per il SSN e genera un aumento della domanda di infermieri.
«La profonda crisi che investe il personale infermieristico», conclude Cartabellotta, «impone un piano straordinario per la professione, con un duplice obiettivo: motivare i giovani a intraprenderla e trattenere chi già lavora nel SSN, evitando che abbandoni definitivamente le corsie o i servizi territoriali. Un piano ambizioso, fatto di interventi economici, organizzativi e formativi. Accanto a un aumento salariale, è fondamentale intervenire a livello regionale e locale con misure di welfare mirate: alloggi a costi calmierati, agevolazioni per trasporti pubblici e parcheggi ecc.
Sul versante organizzativo, occorre garantire sicurezza sul lavoro e rivedere profondamente l’impianto operativo, con riforme coraggiose per valorizzare la collaborazione interprofessionale e utilizzare tutte le potenzialità della digitalizzazione e dall’innovazione tecnologica, inclusa l’intelligenza artificiale. Infine, sul piano formativo è indispensabile rinnovare i percorsi universitari, aumentare il numero di lauree specialistiche e integrare formazione e sviluppo professionale continuo, monitorando l’impatto reale sul miglioramento delle pratiche assistenziali.
In assenza di un piano multifattoriale capace di restituire attrattività, dignità e prospettiva alla professione infermieristica, assisteremo all’inesorabile indebolimento del SSN, che poggia sulle spalle del personale sanitario, in particolare su quelle degli infermieri, che numericamente rappresentano la quota più consistente».