È stato recentemente approvato il nuovo elenco dei LEA. Questo è un momento fondamentale perché con il nuovo Nomenclatore è noto a tutti come si intende rispondere al bisogno di salute, quali sono le prestazioni che devono essere erogate ai cittadini valutandone il seguente impatto sui costi.
Il risultato – atteso da tutti, visto che il vecchio nomenclatore era del 2017 – è importante, dato che vengono considerate prestazioni e tecnologie innovative e certamente fotografa in buona parte il bisogno di salute per come si presenta oggi: non è da trascurare, infatti, che vengono dedicate molte risorse all’attività ambulatoriale, che impegna in modo importante le strutture sanitarie del Paese, e la protesica evoluta, a testimoniare che la cronicità e la fragilità (che potrebbero avere attività ambulatoriale e protesica come proxy) sono il problema di salute del momento e lo saranno per il futuro.
Ci sono due considerazioni sull’argomento emerse anche in una sessione durante il recente convegno SIHTA.
Da un lato, la volontà del Ministero della Salute di aggiornare con frequenza maggiore il Nomenclatore cercando di perseguire il ragionevole obiettivo di mantenerlo ai tempi con il bisogno di salute che evolve continuamente (sette anni + Covid sono effettivamente troppi).
Dall’altro, la capacità “tecnica” del sistema di adeguarsi in tempi rapidi e più spesso alle modifiche del nomenclatore, se la frequenza di aggiornamento fosse più elevata.
Nel primo caso c’è un tema di capacità di analisi della mole di dati (eh già, ancora questi benedetti dati) a disposizione per monitorare, analizzare e magari predire il fabbisogno di salute del nostro Paese.
Questo è un lavoro notevole che il Ministero ha effettivamente intrapreso, cosciente della sua utilità. Quando sarà a regime, probabilmente sarà un importante aiuto anche all’aumento della frequenza di modifica del nomenclatore.
Ci sono alcune esperienze virtuose a livello locale (cito a titolo d’esempio le dashboard a disposizione di ATS Milano) che evidenziano la potenza dell’analisi dei dati a disposizione del sistema in un’ottica di valutazione del bisogno e della risposta – nonché di qualche comportamento dei cittadini – e quindi, in conclusione, di programmazione sanitaria.
Nel secondo sappiamo bene che le nostre strutture (fisiche e organizzative) sono lente al cambiamento per molti motivi, tecnici e umani. E neanche l’apparente semplicità della modifica di un nomenclatore (che, semplificando all’estremo per dovere di stampa, aggiunge e toglie prestazioni) è esente dall’introdurre costi, lentezze, critiche che poi, nella sostanza, si traducono in proroghe e dilazioni temporali dell’attuazione, con buona pace della frequenza di aggiornamento migliorata.
Come sempre, la soluzione semplice e automatica non esiste: il tema è sempre quello dell’attività multidimensionale che tenga conto anche delle istanze e dei bisogni di chi poi deve mettere in azione quanto previsto a livello centrale.
Ma è stato mosso qualcosa. Un incipit da non far cadere, per il bene dei pazienti.