Manifesto del rischio cardiovascolare residuo

Le malattie cardiovascolari rappresentano la principale causa di morte, anche in Italia. Nonostante i trattamenti, esiste un rischio cardiovascolare residuo che può essere ridotto con terapie a valore aggiunto. Il tema al centro di un evento istituzionale ospitato a Roma, durante il quale è stato presentato il Manifesto messo a punto da associazioni e società scientifiche.

Le patologie cardiovascolari sono la prima causa di morte a livello globale e contribuiscono in modo determinante al carico di disabilità. A livello italiano, secondo le più recenti stime del Global Burden of Disease, le malattie cardiovascolari interessano quasi 10 milioni di connazionali (9,6), con 800 mila nuove diagnosi annue e oltre 670 mila ricoveri ospedalieri.

Nonostante una riduzione globale della mortalità per patologie cardiovascolari del 50% tra il 1990 e il 2020, a preoccupare è il capovolgimento della piramide demografica, con un numero sempre crescente di over 65, il target più a rischio per queste patologie, con conseguenze che si ripercuotono sull’efficienza e la sostenibilità del SSN. Stando ai dati di uno studio condotto a livello europeo sull’impatto economico delle patologie cardiovascolari, che ha considerato sia costi diretti che indiretti, la spesa del Vecchio Continente è risultata pari a 282 miliardi di euro; di 41 miliardi quella italiana, includendo non soltanto l’onere a carico del sistema sanitario ma anche sociale.

Importanza della prevenzione dei fattori di rischio e la diagnosi precoce

Nonostante l’elevato tasso di mortalità, numerosi sono i fattori modificabili che possono ridurre l’insorgenza e la progressione di queste malattie. Uno su tutti il fumo, ma anche l’ipertensione arteriosa, il diabete o le dislipidemie rappresentano fattori di rischio modificabili intervenendo su stili di vita e attraverso l’assunzione di terapie farmacologiche.

Tuttavia, in soggetti affetti da patologie cardiovascolari, le terapie attualmente in uso – prevalentemente ipolipemizzanti, terapie antidiabetiche e antipertensive – diminuiscono il rischio cardiovascolare ma non lo eliminano del tutto. È consolidato che nonostante l’assunzione di farmaci ipolipemizzanti persiste un rischio cardiovascolare residuo indipendente dal controllo del colesterolo LDL.

Con l’obiettivo di promuovere un confronto tra i principali attori di sistema sull’importanza della prevenzione nel rischio cardiovascolare residuo e le opportunità di cura presenti e future, lo scorso 17 settembre è stato ospitato presso l’Istituto Sturzo di Roma l’incontro dal titolo “Prevenzione, appropriatezza e accesso omogeneo alle terapie: driver fondamentali per contrastare il rischio cardiovascolare residuo”, in collaborazione con l’Intergruppo parlamentare sulle malattie cardio, cerebro e vascolari, con il patrocinio dell’ISS, della Società Italiana di Diabetologia e di Salutequità; promosso da SIC, GISE, SISA, ANMCO, FADOI, SIMI, AMD, SIMG, FIMMG, organizzato da Cencora Pharmalex e realizzato con il contributo non condizionante di Amarin.

Il rischio cardiovascolare residuo

Il rischio cardiovascolare residuo si può definire come la probabilità che ha una persona con malattia cardiovascolare di sviluppare nuovi eventi cardiovascolari, spesso fatali, anche laddove trattata seguendo gli standard di cura attualmente in uso.

“Questo si verifica perché la persistenza del rischio cardiovascolare residuo è indipendente dal controllo del colesterolo LDL. Per questi pazienti la comunità scientifica ha già individuato terapie a valore aggiunto in grado di colmare il bisogno insoddisfatto, che hanno dimostrato di ridurre significativamente il rischio di eventi cardiovascolari, offrendo una nuova e potente arma terapeutica ai pazienti in prevenzione secondaria e livelli moderatamente elevati di trigliceridi”, ha sottolineato Pasquale Perrone Filardi, presidente della Società Italiana di Cardiologia e professore di Malattie dell’Apparato Cardiovascolare presso l’Università degli Studi Federico II di Napoli.

Rendere disponibili terapie a valore aggiunto

Esiste quindi la necessità di rendere disponibili terapie a valore aggiunto e dispositivi in grado di intervenire sul rischio cardiovascolare residuo, garantendone omogeneità di accesso a livello nazionale per migliorare gli esiti di salute dei cittadini e generare risparmio anche per il SSN.

Alcune di queste terapie sono ancora in studio; tuttavia, per soggetti con ipertrigliceridemia che hanno già avuto un evento cardiovascolare e sono pertanto a rischio altissimo di incorrere in una recidiva, è già disponibile in Europa – anche se non ancora in Italia – icosapent etile.

Un lavoro di squadra per ridurre il rischio cardiovascolare residuo 

“L’Italia è un Paese a medio rischio cardiovascolare”, ha sostenuto Aldo Maggioni, direttore del Centro di Ricerca Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri.

“Per agire sul rischio cardiovascolare residuo, riducendo gli eventi e quindi la mortalità è fondamentale che ciascuno faccia la propria parte: gli operatori sanitari, contribuendo a migliorare l’aderenza dei pazienti alle terapie, spiegando loro a cosa servono i farmaci prescritti e perché è importante assumerli; i pazienti, aderendo a raccomandazioni e stili di vita e partecipando agli studi clinici; le autorità sanitarie, promuovendo misure di prevenzione e supportando la ricerca all’interno della pratica clinica”.

Accesso equo e omogeneo alle cure e alle terapie a valore aggiunto

“Per le persone che hanno avuto uno o più eventi cardiovascolari, con rischio cardiovascolare residuo, è necessario fare di più. Sappiamo che il diritto alla salute, se manca un accesso omogeneo e tempestivo alle migliori cure ed alle terapie a valore aggiunto, non può considerarsi garantito”, ha sottolineato Maria Pia Ruggieri, consigliere di Salutequità.

“Per aiutare queste persone è cruciale fare sistema e promuovere una maggior fruibilità dell’innovazione, molto spesso, salvavita. Abbiamo deciso di patrocinare il Manifesto sul rischio cardiovascolare residuo, che è stato il frutto del lavoro congiunto di comunità scientifica e stakeholder in sanità, per assicurarci che i bisogni e i diritti dei cittadini siano chiari alle istituzioni competenti e che vengano superate le disparità di accesso alle cure esistenti rispetto ad altri cittadini europei, ed anche all’interno delle nostre Regioni”.

Il Manifesto

L’incontro ha rappresentato anche l’occasione per presentare ufficialmente il Manifesto “Rischio cardiovascolare residuo: analisi del contesto e delle opzioni terapeutiche, tra innovative strategie di prevenzione e sostenibilità di sistema”, che inquadra la patologia, sintetizzando le terapie attualmente disponibili per la sua gestione e riaccendendo un faro sull’importanza di avere disponibili terapie a valore aggiunto per la gestione del rischio residuo, cui si associa la necessità di uniformare l’accesso alle cure in tutta Italia, favorendo un miglioramento dei percorsi di presa in carico.