Come anticipato, proseguo con qualche considerazione in merito alla sostenibilità, secondo le tre macro-suddivisioni che abbiamo presentato il mese scorso. Inizio dal tema della sostenibilità economica, che è quello a cui probabilmente siamo più abituati.
Essendo la sostenibilità un tema di compatibilità tra obiettivi e risorse, è semplice trasferire questo passaggio all’aspetto monetario.
L’abbiamo fatto per anni con diversi approcci più o meno strutturati: le parole piano di rientro, spending review, payback non sono altro che tentativi più o meno goffi, più o meno efficaci, più o meno impattanti, di bilanciare il fatto che le risorse sono finite (non nel senso che non ne abbiamo più – che è anche vero! – ma nel senso più filosofico del termine) con il fatto che la richiesta di salute e di prestazioni è in costante aumento e diversificazione.
Poi ci sono modelli più raffinati, accademici (pensate alla budget impact analysis, per esempio), tipici di sistemi di valutazione più strutturati quali l’HTA. Abbiamo imparato a usare anche questi, ma anche in questo caso il risultato è stato altalenante.
La tecnologica – occorre ammetterlo – non aiuta in questo lavoro di sostenibilità economica. Il mercato dei medical device è fortunatamente in costante fermento e i produttori, anche per legittime aspirazioni commerciali (non sono un’opera di carità!), continuano a spingere nella risposta ai bisogni evidenziati dai clinici con prodotti nuovi, più performanti, più rispondenti al bisogno. Non sempre, però, meno costosi dei precedenti.
Per questo, da un lato, c’è il rischio che una spasmodica ricerca del pareggio forzato tra domanda di spesa e disponibilità economica (molto da ragioniere, non me ne vogliano i ragionieri) freni l’innovazione tecnologica: il nuovo device, la nuova tecnica, magari suffragata da molti dati di efficacia, rischia di essere schiacciata da una impossibilità di rispondere alla domanda “ma dove risparmi per sostenere questi nuovi costi”?
Dall’altro, è necessario trovare un compromesso tra standardizzazione e diversificazione: non penso sia vero che la standardizzazione (tentata con gare centralizzate, azione delle centrali di committenza ecc.) sia la soluzione ideale perché si rischia di non poter intercettare le “singolarità”.
Queste devono essere tutelate perché rappresentano, da un lato, l’eccellenza clinica e dall’altro il fatto che … non ci sono due pazienti uguali anche a parità di patologia conclamata.
Allora – ma da quanti anni ce lo diciamo? – il lavoro per garantire questo tipo di sostenibilità è un lavoro di squadra: il clinico deve ripensare i criteri di scelta dei dispositivi, con una logica di maggiore “personalizzazione” del device rispetto alla procedura; gli ingegneri clinici devono fornire il supporto e quale strumento affinché la valutazione delle tecnologie sia rapida, efficace e coerente con l’approccio posto dal clinico (è inutile avere una valutazione perfetta dal punto di vista di modello se poi non è applicabile nella realtà); i buyer devono individuare (e in questo devono essere un po’ arditi) modalità di acquisto che garantiscano questa possibilità di diversificazione a vantaggio dei pazienti, ma con un’importante attenzione alla sostenibilità.
Se fosse facile ci saremmo già riusciti, invece siamo ancora qui a dire le cose che andiamo ripetendo da 15 anni. La domanda, quindi, è: dove dobbiamo ancora lavorare?
Poter dire cosa posso fare con quello che ho a disposizione (dal punto di vista monetario è la sostenibilità economica) è trovare la soluzione a un sistema multivariabile e multidimensionale: chiede di sapere cosa devo fare (e già questo…), cosa mi serve per farlo e quali sono le possibili varianti del cosa che danno una risposta qualitativamente confrontabile, quanto ho a disposizione per farlo (potrebbe anche essere quanto sono disposto a spendere per farlo, ma è più complicato).
In ultima analisi è una decisione politica, indipendentemente dal livello a cui viene presa: è politica anche se la decisione è presa da un direttore generale e deve essere coerente con la mission e con la vision del livello decisionale cui si appartiene.
Ma ancora una volta è l’esito di un processo multidisciplinare che vede coinvolte le principali figure del middle management e che sono tipicamente portatrici dei contenuti dei singoli domini utili all’attività di sintesi tipica del decisore.
Ho reinventato la ruota?