Estendere il rooming-in per migliorare il percorso nascita

Il passaggio dalla vita intrauterina a quella extrauterina può essere considerato un vero e proprio trauma o comunque un momento di profondo cambiamento. Non solo per il neonato: anche per la madre può vivere timori e paure rispetto alle proprie capacità di cura, agli inevitabili mutamenti in ambito di coppia e, più in generale, alla gestione della propria nuova vita.

Da oltre dieci anni l’OMS, accompagnata da società scientifiche e altre organizzazioni, ha promosso il rooming-in come strumento per rendere più morbido e dolce questo passaggio, favorendo al contempo lo sviluppo di quel legame profondo madre-figlio chiamato bonding e la lattazione.

Una delle prime evidenze scoperte dagli studi sul rooming-in riguarda infatti l’allattamento al seno, che è facilitato dal contatto h24 tra madre e figlio. Nella definizione dell’OMS, il rooming-in è “la permanenza del neonato e della madre nella stessa stanza di degenza per un tempo più lungo possibile, auspicabilmente 24 ore su 24, con l’eccezione dei momenti necessari per effettuare quelle procedure assistenziali su madre/neonato che giustificano una separazione”.

Un concetto che per essere portato nella realtà richiede una certa flessibilità all’interno dei reparti nascita. Al rooming-in è dedicato un recente documento elaborato dal tavolo tecnico multidisciplinare del Ministero della Salute sulla continuità del rapporto madre-bambino durante l’ospedalizzazione alla nascita: “Benessere della coppia madre-bambino e sicurezza del neonato: il rooming-in”.

Rooming-in e contatto pelle a pelle

Gli studi hanno dimostrato che il contatto pelle a pelle tra madre e neonato favoriscono lo sviluppo in salute della diade e del neonato stesso, da un punto di vista psicofisico. Questo contatto è fondamentale perché lo sviluppo del neonato prosegua in modo corretto anche fuori dall’ambiente intrauterino, così importante che, nell’impossibilità di coinvolgere la madre, lo si può realizzare con il padre.

Le linee guida suggeriscono di protrarre il contatto pelle a pelle per almeno due ore dopo il parto, posticipando qualsiasi attività non strettamente necessaria, ivi compresi il bagnetto e la pesata.

È indubbio che il rooming-in consenta di protrarre ulteriormente questo stretto contatto tra madre e neonato che favorisce anche una colonizzazione del neonato da parte del microbiota materno. Inoltre, al rooming-in è stata associata una riduzione del rischio di infezione ospedaliera.

Certo, per alcune donne questa esperienza può essere davvero provante, soprattutto se il parto è stato molto lungo ed estenuante: in questi casi viene suggerita la presenza in stanza del partner della madre, o di altra persona di fiducia, che può alleviare le fatiche materne aiutando nella cura del neonato.

Necessaria maggiore flessibilità

Per implementare completamente questa la pratica del rooming-in occorre superare alcune rigidità ospedaliere, soprattutto nella divisione dei compiti tra personale, per creare una equipe integrata capace di osservare la diade e intervenire nel momento del bisogno, per supportare la madre e aiutarla a capire come prendersi cura del proprio bambino.

Ciò favorisce una dimissione più sicura e riduce il rischio di ritorno in ospedale nel periodo successivo.

Si ritiene, inoltre, necessaria una certa flessibilità, come sottolineato dal presidente della Società Italiana di Neonatologia, dott. Luigi Orfeo: “l’organizzazione del rooming-in, previo un monitoraggio scrupoloso del benessere materno e neonatale che garantisca la massima sicurezza clinica, deve divenire un accompagnamento discreto, rispettoso, per la piena realizzazione del bonding, quel profondo e singolare legame, che viene a stabilirsi tra il neonato e la propria madre fin dai primi istanti di vita.
Non si tratta di decidere, per esempio, a che ora fare un prelievo, a meno che non sia una procedura salvavita, ma su come posso dare la migliore assistenza possibile in una cornice che rispetti il riposo della puerpera, gli stati comportamentali neonatali e l’attenzione al dolore”.

Per essere vissuto in modo completo, il roomin-in richiede quindi adattabilità delle strutture fisiche, quindi anche le stanze, ma soprattutto una modulazione qualitativa delle routine assistenziali che devono essere eseguite quando è più opportuno per la diade. Per esempio, evitando di svegliare madre e bambino per fare la pesata quotidiana.