Il finanziamento è una condizione essenziale per garantire l’accesso alle prestazioni sanitarie e ha, di conseguenza, un ruolo cruciale nella governance e nella generazione dei corretti incentivi al perseguimento dell’efficienza nella realizzazione delle attività del SSN: ruolo che si è rafforzato con gli interventi costituzionali che, dal 2001, hanno introdotto e sviluppato il federalismo, in particolare fiscale, nell’ordinamento italiano.
Partendo queste premesse ha preso avvio lo studio “Il finanziamento del Servizio Sanitario Nazionale: dalla determinazione del Fabbisogno alle allocazioni sulle Aziende Sanitarie”, condotto dal Centro per la Ricerca Economica Applicata in Sanità – C.R.E.A. Sanità in collaborazione con Federsanità-ANCI e Salutequità, presentato lo scorso 8 aprile a Roma presso la Sala Tevere della Regione Lazio.
L’indagine ricalca uno studio condotto dieci anni prima e intende fare il punto sul flusso e i finanziamenti regionali e aziendali a partire dagli stanziamenti in legge di bilancio. Tutto questo con un obiettivo che è principalmente il perseguimento dell’equità.
«L’analisi del finanziamento è complessa e spesso carente a livello regionale, nonostante le scelte di allocazione abbiano un impatto strategico su equità ed efficienza. L’aggiornamento di una ricerca condotta la prima volta nel 2015, si è reso necessario anche a causa di modifiche normative, come il D.lgs. 68/2011 sul fabbisogno sanitario e il D.lgs. 118/2011 sulla Gestione Sanitaria Accentrata, che ha formalizzato l’accentramento delle risorse regionali. Inoltre, la creazione delle Aziende Zero ha modificato la gestione delle funzioni centrali e della GSA.
Il nuovo studio analizza l’intero processo di finanziamento, dal livello nazionale a quello regionale, considerando la determinazione del FSN, la sua suddivisione, il riparto alle Regioni e la distribuzione intraregionale. L’analisi copre un quinquennio partendo dal 2019.
La metodologia prevede prima un’analisi qualitativa, poi una quantificazione dei flussi finanziari e infine una sintesi dei risultati. La ricerca conferma che la trasparenza del finanziamento sanitario è insufficiente e che l’accountability regionale è variabile. L’obiettivo futuro è superare le analisi occasionali e avviare un monitoraggio continuo per garantire una gestione più equa ed efficiente delle risorse sanitarie», ha sottolineato Federico Spandonaro, presidente di C.R.E.A. Sanità, Tor Vergata.
Le principali evidenze del Rapporto
Il riparto delle risorse alle Regioni si basa ancora su criteri fermi al 2011 che non considerano l’evoluzione demografica e tecnologica occorsa determinando iniquità, con un sistema di perequazione che ridistribuisce solo il 40% delle risorse necessarie a colmare le differenze di spesa privata.
Servirebbero al SSN maggiori risorse – tra 20 e 40 miliardi stando all’ultimo Rapporto C.R.E.A. – ma la gestione poco trasparente di quelle disponibili penalizza principalmente la sanità territoriale.
Scollamento tra programmazione nazionale e scelte regionali
L’analisi condotta mette in luce altresì uno scollamento forte esistente tra la programmazione centrale e le scelte regionali, con alcune Regioni che adottano criteri più dettagliati rispetto a quelli nazionali. A titolo esemplificativo, a fronte delle sei quote di allocazione nazionali delle risorse, il Piemonte ne adotta 11 per la Prevenzione, 5 per l’Ospedaliera, 11 per la Distrettuale, per un totale di 27, l’Emilia-Romagna ne adotta 3 per la Prevenzione, 1 per l’Ospedaliera, 9 per la Distrettuale, per un totale di 13.
Ancora più variabile l’applicazione dei criteri per il riparto interno delle risorse: in Piemonte si contano 16 criteri aggiuntivi oltre quelli nazionali, in Emilia-Romagna 14, in Campania 5 e in Basilicata 4 in più.
Variabilità dell’assistenza distrettuale e scarsa trasparenza
Ancora, a variare notevolmente è anche il finanziamento dell’assistenza distrettuale tra le Regioni, con percentuali che oscillano attorno al 50% del totale. A ciò si aggiunge che le quote premiali vengono distribuite attraverso accordi politici e non criteri oggettivi.
Il rapporto mette in luce, infine, la scarsa trasparenza che caratterizza il processo di finanziamento delle varie regioni evidenziando la necessità di criteri che possano riequilibrare il rapporto tra sanità ospedaliera e territoriale, anche in considerazione del nuovo modello di assistenza in vigore dal 2026.
«Dopo il 2026, sarà infatti necessario rivedere questa distribuzione per sostenere il nuovo modello di assistenza. Le scelte allocative influenzano direttamente la politica sanitaria, determinando la capacità di rispondere ai bisogni dei cittadini.
Il tema dei LEA si lega alla sostenibilità del FSN, che difficilmente potrà essere incrementato, rendendo necessaria una revisione delle prestazioni incluse, delle forme di compartecipazione alla spesa e del ruolo dei fondi sanitari integrativi. La disomogeneità nella ripartizione del FSN tra le Regioni e nei sistemi di finanziamento delle Aziende Sanitarie evidenzia differenze nella gestione delle risorse», ha ricordato Fabrizio D’Alba, presidente Federsanità e direttore generale del Policlinico Umberto I di Roma.
«Non è più rinviabile la definizione di una metodologia di calcolo del fabbisogno sanitario standard, in grado di superare concretamente lo storico e la sola «negoziazione politica» passando a criteri più oggettivi e aggiornati. (…) Si devono modificare i criteri di riparto del Fondo Sanitario, dando più peso alla deprivazione sociale e quelli della quota premiale, passando dalla negoziazione tra Regioni a criteri trasparenti, obiettivi, vincolanti e attuali.
E ancora, passare da un sistema di pagamento per prestazione a uno che finanzi percorsi terapeutici e i loro risultati di salute superando il silos budget e mettendo al centro il valore delle cure. Poi, semplificare l’accesso ai fondi per l’edilizia sanitaria e incentivare la ricerca e l’innovazione per rendere il SSN più efficace e sostenibile a lungo termine», ha sottolineato Tonino Aceti, presidente di Salutequità.